giovedì 20 dicembre 2012

Fisica quantistica e autentica filosofia



1) Sebbene la tesi, propria della fisica quantistica, che ogni cosa è un "ologramma" (un "Tutto-parte", cioè sia il Tutto sia una parte di esso) sia una tesi che, quanto al suo contenuto meramente linguistico, è identica alla tesi centrale che sorregge l'intero discorso dei due volumi "La struttura concreta dell'infinito" e "Del tragico Amore", e sebbene anche la fisica (come ogni altra forma di linguaggio) sia, al di là delle proprie intenzioni relative, un modo di testimoniare la verità assoluta; sebbene così stiano le cose, non si può accogliere positivamente l'affermazione che i miei scritti e la fisica quantistica siano un designare lo stesso. Proprio perché, il Motivo per il quale il sottoscritto sostiene quella tesi è la negazione della contraddizione in cui consiste il motivo per il quale la fisica quantistica sostiene quella medesima tesi.
La filosofia autentica, infatti, è la critica radicale di ogni atteggiamento che, come quello "scientifico" (io direi, meglio, "tecnico" - se vogliamo dar valore assoluto alla parola "scienza", giacché, in questa assolutezza, la "scienza" è quella "filosofica", e cioè è la stessa "filosofia"), intende giungere ad un numero limitato di tesi sorrette dai cosiddetti "esperimenti scientifici" (ovvero "dimostrazioni o prove scientifiche"). Basta operare un (apparentemente) semplice ragionamento filosofico per scorgere l'impossibilità che tali "esperimenti" siano, in relazione alle intenzioni che gli accompagnano, l'espressione di una fondazione necessaria.

2) Ciò significa, propriamente, che l'autentica volontà di testimoniare la verità assoluta è l'affermazione che tali "esperimenti" sono e saranno veramente utili (e non dannosi), al fine appunto di indicare il vero, solo nella misura in cui vengano concepiti sul fondamento autentico di ciò che quella volontà intende dire. Infatti la "Tecnica", nel suo senso più ampio, è quella stessa volontà, di cui si sta parlando, la quale è sì un errare (perché è volontà di potenza), ma è pur sempre indissolubilmente legata alla verità, giacché l'errare è il linguaggio indicante la verità (l'errare è la volontà pubblica di potenza, includente sé stessa come volontà privata di potenza, cioè come volontà di testimoniare l'errore): la dominazione della Tecnica, a cui siamo destinati, è la dominazione della volontà di designare l'incontrovertibile, sì che se coi termini "fisica", "psicologia", "biologia", "anatomia" (ed ogni altra forma di cultura) si intende il linguaggio che intende esplicitamente testimoniare la verità, è allora necessario dire che il linguaggio dei miei scritti si colloca positivamente accanto ai linguaggi in cui consistono quei termini.
Ergo: il messaggio negativo (che cioè non intende indicare la verità) della fisica quantistica (e di tutte le altre forme tecniche di cultura, religione inclusa) è tale in relazione alla volontà privata di potenza; nella misura in cui, invece, la Tecnica (fisica, etc) incomincia a prevalere come tale, cioè come volontà pubblica di potenza, allora la Tecnica, pur essendo volontà errante (poiché l'errare è lo stesso processo finito dei segni i quali, in verità, sono segni della propria struttura immutabile: segni, cioè, di sé stessi in quanto appaiono eternamente legati, cioè in quanto sono il significato infinito da essi indicato), è il messaggio positivamente accettato da tutte le coscienze che, nel loro profondo, intendono scorgere con verità assoluta il proprio volto eterno. (Dopo la dominazione della Tecnica - che domina su sé stessa in quanto tecnica privata -, una dominazione che è pur sempre inclusa nel prevalere dell'errare - cioè della Tecnica stessa intesa complessivamente come relazione assoluta tra volontà pubblica e volontà privata di potenza -, in seguito a tale dominazione, si sta dicendo, è destinato a sopraggiungere il prevalere della verità, cioè del significato assoluto che, tuttavia, la Tecnica stessa è in grado di indicare: dal prevalere della Tecnica si procede verso il prevalere di ciò a cui la Tecnica, come volontà di indicare la verità, si rivolge in eterno: dalla Prima Volta si procede verso il Ritorno - tenendo presente che la dominazione della Tecnica, di cui qui si parla, non è inerente soltanto a ciò che solitamente viene chiamato "Regno umano" e che io chiamo l'attuale "Regno della similarità prevalente", bensì a tutti i processi che, all'interno della Prima Volta, son destinati ad essere qualificati come una dominazione siffatta, processi che, in modi diversi, sopraggiungono sia prima che dopo il sopraggiungere di quel Regno).


I nove commenti miei e di Pietro sono relativi al punto 1). Il punto 2) è l'esplicitazione di ciò che nel punto 1) rimane implicito. Il punto 2), dunque, potrà essere integrato da nuovi commenti.

15 commenti:

  1. Caro Marco, eccomi!
    Non penso che sia così immediato tracciare o rintracciare "identità" tra il tuo discorso, e la fisica quantistica. Al massimo analogie... interessanti analogie, ma sempre un po' estrinseche. Ovvio che puoi rispondermi, come altrove, che in sostanza tutti i segni – al di là delle intenzioni dei parlanti – parlano dello Stesso, cioè dell'Uno eterno, ma non è su questo punto che voglio qui contestarti (non mi dispiace la tua semantica anagogica, e questo è un apprezzamento che t’ho già espresso in quel mio commento che hai pubblicato su “Del tragico amore”). Voglio semplicemente dire che per parlare della fisica quantistica bisognerebbe entrare più a fondo e nel merito. Essa mette in campo, oltre che formalizzazioni complicate, un sacco di problemi, diversi tipi di paradossi (già a partire dai risultati dell’esperimento delle due fenditure), tutto il discorso di come si possa conciliarla con la fisica relativistica (un mondo a “grana grossa” con relazioni spazio-temporali eminentemente “locali”), i problemi legati al modello standard, ecc. per non parlare delle varie interpretazioni attraverso le quali essa si è imposta nella comunità scientifica: l’interpretazione di Copenaghen, dei molti mondi (o del multiverso), del collasso della funzione d'onda dovuto a influenze ambientali, le idee di Zeilinger (colui che ha realizzato a Vienna il primo “teletrasporto” quantistico), ecc. Ma tutti questi problemi non hanno sempre immediato riscontro con gli snodi del tuo pensiero…
    Insomma, indubbiamente la fisica quantistica apre un territorio affascinante, e l’idea dell’ologramma pure lo è. Ma per molti, di fatto, la fisica quantistica prosaicamente si riduce (anche per Severino, in “Legge e caso”) ad un semplice e rigoroso imporsi, nel pensiero scientifico di un paradigma di spiegazione eminentemente probabilistico… Una visione in linea con il generale clima di assenza di fondazioni del sapere, prevalente oggi, come tu stesso rilevi (a ridosso di Severino) nel prosieguo del tuo post.
    Ebbene io contesto proprio quest’ultima tesi (di Severino e tua). La scienza attuale si giustifica generalmente sulla base del falsificazionismo popperiano, ma nulla vieta che alcuni postulati della scienza vengano assunti come anapodittici. Per esempio potremmo continuare a fare scienza nel modo in cui si fa ora, attraverso sperimentazioni e teorie rivedibili che ci consentono una sempre più dettagliata conoscenza della realtà “in particulare”, ma postulando, per esempio, la “vita eterna” (o quant’altro) a fondamento del nostro sapere (sarebbe un postulato esteticamente molto bello), e questo nostro postulato potrebbe pure ricevere fondazione filosofica, o imporsi anapoditticamente come nel tuo discorso (o quello di Severino) senza nuocere alle procedure intrinseche della conoscenza scientifica, anzi... La “vita eterna” porrebbe solo in certi casi alcuni vincoli o restrizioni (magari anche notevoli), “condizioni al contorno” alle funzioni deputate a spiegare o prevedere il futuro immediato o prossimo di qualsiasi cosa o addirittura del cosmo intero. Un discorso in parte simile a quello di David Deutsch nelle parti finali del suo “La trama della realtà” (non conosco ancora l’ultima pubblicazione di Deutsch intitolata “L’inizio dell’infinito”) oppure, segnatamente, proprio il postulato della “vita eterna” nella teoria del punto omega di Frank Tipler (che a sua volta si rifà al postulato della vita eterna del premio nobel Paul Dirac: rimando a “La fisica dell’immortalità” di Tipler di cui riporto più sotto una mia vecchia recensione). Questi testi di eminenti scienziati contemporanei sono solo esempi interessanti di ciò che intendo dire, seppure la loro prospettiva non sia certo affine a quella delle “fondazioni anapodittiche” o dell’”autentica filosofia”. In sostanza: non c’è bisogno di rifiutare millenni di storia della scienza solo perché la scienza si è installata da sé su fondazioni epistemologiche magari un po’ traballanti perché la tradizione metafisica non ha saputo fornirgliene di migliori…

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  2. Ecco la recenzione promessa tratta dalla pagina del mio vecchio sito (che da anni purtroppo non riesco ad aggiornare) http://www.pietrodeluigi.it/fisica.htm. Il postulato della “vita eterna” è semplicemente il postulato che la vita così come la concepiamo usualmente non debba estinguersi mai in tutto il tempo futuro del cosmo.

    Frank J. Tipler
    La fisica dell’immortalità. Dio, la cosmologia e la resurrezione dei morti
    Mondadori

    Meglio di qualsiasi romanzo di fantascienza, altissimo volo pindarico dell'immaginazione umana, espone un'ipotetica teoria fisica, la teoria del punto omega (da Theilard de Chardin, in pratica Dio alla fine dei tempi) secondo la quale tutto è destinato a divenire Dio attraverso un governo "tecnologico" - da parte della vita sparsa nel cosmo - del collasso dell'universo, gestione che nella singolarità finale darebbe luogo necessariamente alle migliori predizioni escatologiche delle religioni tradizionali: resurrezione, paradiso, implementazione delle nostre qualità personali, pienezza di vita, pluralità sconfinata di ambienti e situazioni meravigliose, fruizione illimitatata di gioia, bellezza, ecc. Ma è un testo da leggere con estrema attenzione, in certi passi tutt'altro che facile. Si tratta, a tutti gli effetti, di una vera e propria teoria scientifica da sottoporre a verifica sperimentale e precise condizioni (una di queste sarebbe, per esempio il big crunch dell’universo). Nonostante gli eccessi e la stravaganza (e forse anche una certa ingenuità epistemologica), questo libro è stato per me un’iniziazione. La teologia per l'autore diverrebbe parte della fisica. Non è tanto il contenuto, quanto il modo in cui l'autore lo raggiunge, che colpisce! Interessanti anche le frequenti analogie tra concetti teologici e filosofici della tradizione medievale e quelli delle scienze più recenti (per es. intelletto agente-algoritmi in CPU, intelletto possibile-programmi in RAM, Spirito Santo-funzione d'onda dell'universo, ecc.). Un librone di più di 500 pagine, tra cui un'appendice dove l'autore formalizza matematicamente molti aspetti della teoria, una chicca per soli addetti ai lavori... L'autore è noto per aver pubblicato anche, insieme a J.D. Barrow, Il principio antropico, Adelphi.
    (Pietro De Luigi)

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  3. Ciao caro Pietro! E' sempre un piacere ritrovarti e leggerti.

    Premetto che avevo già letto qualcosa intorno al testo di Tipler, e aggiungo che è proprio il modo in cui la fisica (in generale io la chiamo "tecnica" e non "scienza") tenta di esplicare e dimostrare l'infinità dell'universo (o di un semplice "fotone") attraverso i suoi esperimenti e procedure (e quindi anche "il discorso di come si possa conciliarla con la fisica relativistica"), è proprio questo modo ad essere, in quanto legato alle "intenzioni" di chi si occupa di tutto ciò, la rigorizzazione di un grosso equivoco (l'equivoco per cui si confonde il senso autentico del "Tutto eterno" con il senso inautentico che viene conferito a questa stessa espressione - specificando, nel caso dell' "ologramma", che l'esperimento che ha portato alla tesi fisica di assoluta connessione e impossibilità di interspazi tra "fotoni", informatissimi l'uno dell'altro, è proprio questo esperimento che, legato a quelle intenzioni, mostra di essere per lo più in relazione al prevalere dell'interpretazione contraddicentesi, distinto quindi dal modo sempre più concreto in cui ci si rende conto che tutto è connesso e che in verità ogni cosa è, in quanto Tutto, identica ad ogni altra cosa, e quindi è "informatissima"...).
    La filosofia errante include la "tecnica", quindi anche la fisica quantistica. Orbene, poiché ogni segno è segno della verità infinita, lo è anche il segno in cui consiste il linguaggio "tecnico". Ma, ecco il punto, altro è un segno (s2) accompagnato dall'intenzione che esso sia segno della verità, e altro è un segno (s1) accompagnato dall'intenzione opposta. Ciò propriamente significa, nel discorso filosofico che sto portando avanti, che s2 sopraggiunge, sulla scala finita dell'infinito, su un gradino superiore rispetto a s1. Tutto qui. Quindi non c'è da parte mia la volontà di "liquidare frettolosamente il sapere scientifico". Anzi sono d'accordo con te su quanto dici in proposito riferendoti a Severino; ma ciò significa che io e Severino diciamo cose diverse anche su questo punto, cose che tu hai interpretato come identiche. Ti rimando comunque a "Del tragico Amore", che ancora non hai studiato! :)

    Con affetto,

    Marco Pellegrino

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  4. Caro Marco, mi fa piacere tu dissenta da Severino su quel che dico. Un po’ comunque mi sono già addentrato nel tuo nuovo libro. E capisco il discorso che fai relativamente alla scala finita dell’infinito, dove, con la metafora che anch’io avevo usato, gli angeli di Dio devono poter non solo salire, ma anche scendere. E’ vero, salendo si vedono meglio i pioli che ormai stanno a valle (e perciò il salire è anche un ricomprendere, quindi uno scendere), ma rimane la necessità che il nostro sapere proceda verso entrambi gli abissi (l’alto e il basso) e segnatamente verso il basso anche in un altro senso, che non può eludere – nella situazione “in fieri” che viviamo ora – la sperimentazione con falsificazione e rimpiazzamento di teorie rivedibili e sempre meglio approssimate, un paradigma di conoscenza (anche procedurale) che non deve essere immediatamente confuso con l’intenzione di opporsi alla verità. Si tratta infatti di cogliere le cose nel loro “particulare”, e ciò non significa non vederle nella loro globalità, nel nesso e nell’identità che le penetra e costituisce (l’uno tutto), anzi… Il vero particolare è proprio un particolare “concreto” vale a dire immerso e penetrato dal suo contesto costitutivo, cioè dal Tutto che lo stesso particolare rappresenta ed è: perciò la buona scienza pur producendo “astratti”, astrazioni che si approssimano però sempre più al concreto, ci aiuta eminentemente a cogliere anche il “vero” metafisico, e proprio aprendo qualche velo sulla sua misteriosa particolarità. L’immensa varietà dei modi dell’infinito – come tu lo chiami, la “modalità temporale dell’infinito”, o “il nulla parzialmente affermato” – la particolarità e distinzione delle cose nel mio intendimento (prevalentemente intuitivo, che posso di tanto in tanto confrontare col tuo, ma che purtroppo non ho sviluppato sistematicamente, anche perché son sì rapido a intuire, ma lento ad argomentare e dovrei dedicarmici di più…) ebbene, questa particolarità nel mio intendimento dovrebbe avere un rilievo diverso che nel tuo. Come se io stessi a metà strada tra te e Severino, corroborando però entrambi con una visione filosofica mediata da un robusto realismo aristotelico-tomista (forse più vicino a Severino che a te), senza disconoscere la grande eredità della mistica cristiana (e del platonismo) come si esprime ad esempio nell’eccelsa sintesi del “Pellegrino Cherubico” (non sei tu, ma ti somiglia!) di Angelus Silesius, insieme a una grande apertura verso la scienza contemporanea più d’avanguardia. Tanti anni di studio e di lavoro intellettuale mi persuadono a tenere insieme tutto ciò, e son convinto ci sia il modo di farlo, anche se non è facile. Ma ci arriverò...

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  5. Però ora voglio solo attenermi a qualche piccolo esempio pratico. Senza scomodare grosse teorie, si tratta solo di briciole di scienza applicata. Da giovanissimo pianista non sapevo nulla circa l’azione omogenea della gravità sulle mie leve articolari (braccio, avambraccio, mano e dita). Quindi al pianoforte agivo per istinto e un po’ a casaccio, certo non per “scienza”. Quando imparai cosa significa la gravità e quale sia la sua grande importanza nel gioco pianistico (imparare ad abbandonarsi a “madre terra” lasciando che braccia, mani e dita diventino, grazie al lavoro muscolare, sofisticati distributori di gravità, evitando di far da sé ciò che la gravità sa fare meglio) ebbene, quando imparai, quindi, che anche al pianoforte vale F=ma (e l’accelerazione “a” è praticamente una costante cui imparare ad affidarsi, salvo variarla con ulteriori piccole flessioni del polso o delle dita), ebbene allora mi caddero le scaglie dagli occhi. Fu come entrare in un nuovo mondo. E anche dal punto di vista mentale mi si aprirono nuovi orizzonti. Questo non significa che suonare il pianoforte si limiti ad una questione di tecnica o scienza applicata. Significa bensì che il linguaggio dell’arte può ben avvalersi di una sapienza reale che inquadra certi fatti – la pressione di leve articolari sui tasti – attraverso credenze fidate, sperimentate a riassunte in formule concise (la meccanica newtoniana, che pure so fallace rispetto a quella relativistica, ma per quanto riguarda il pianoforte è un’ottima approssimazione), credenze che certo non sono esaustive (io non sono proprio in grado, oggidì, di cogliere quali nozioni di fisica quantistica, per esempio, s’intreccino nel mio suonare) ma mi avvicinano all’umile verità delle cose stesse, fugando eventuali illusioni soggettive (contraddizioni nel mio modo di immaginare le relazioni tra il mio apparato brachio-digitale e i tasti, contraddizioni che si esprimono in vere e proprie impossibilità muscolari, discinesie e altri tipi di conflitti) aprendomi contemporaneamente (e sottolineo il senso di un’“apertura” che si può percepire in maniera palpabile, come rivoluzione bio-psicologica, una specie di catarsi che ha pure una grande valenza educativa) alla totalità fisica e, se fisica, “allora” anche spirituale. Apertura, ancora una volta, tramite il “particulare”, verso l’Uno-Tutto che lo costituisce. Dico ciò rimanendo sull’umile piano del lavoro tecnico. Perché, come ho detto, il linguaggio dell’arte, “si avvale” di tutto ciò, ma ne allarga anche molto gli orizzonti, poiché la musica è un linguaggio teso a sua volta ad esprimere forme di verità e bellezza, e in ultima analisi ad esprimere l’Uno. Ma ciò a ben pensarci vale anche “mutatis mutandis” per mille altre cose: il modo in cui si affastellano parole per scrivere frasi comprensibili, o libri di filosofia, oppure il modo in cui si accostano pietre per costruire muri, archi, navate e cattedrali…

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  6. Un altro esempio: se voglio che il mio gatto eviti di far pipì sul tappeto, dovrò sapere quanto è importante per lui la relazione con me, non posso prescinderne, dovrò sapere come fare a mantenerla e corroborarla (è anche un modo per avvicinarmi all’Uno), e attraverso quali modalità, e anche sapere a grandi linee come funziona un riflesso condizionato o il condizionamento operante attraverso premi e punizioni (i primi capitoli di un buon libro di psicologia ne parlano). Non posso pretendere di insegnar qualcosa al mio micetto dicendogli con voce impassibile: “la prego signor gattino, eviti di orinare un’altra volta sul mio tappeto, perché così facendo rischia di rovinarlo irrimediabilmente” oppure, all’opposto, punendolo ferocemente nella supposizione che lui capisca motivi e scopi del mio agire. Ebbene, anche in questo caso la scienza che acquisisco con l’esperienza (in senso aristotelico) o con le letture (sapere, per esempio, che i gatti hanno una supposta storia evolutiva, e quindi concepiscono determinati tipi di relazione e non altri ecc.) circa il modo di trattare un gatto e diventargli amico, facendomi a mia volta rispettare e amare da lui, ebbene questa scienza-esperienza non è poi così avulsa dal discorso che tu fai sull’amore e il rapporto col tutto. Eppure si tratta proprio di scienza attraverso prove ed errori, falsificazioni e parziali rimpiazzamenti di ipotesi e teorie. Salvo che, son d’accordo, buoni presupposti filosofici – le direttive “trascendentali” più importanti – aiutano molto anche in tutto ciò. E in moltissimi casi possono valere proprio come imprescindibili “condizioni al contorno”.
    Quindi, tirando le somme, sono d’accordo che la scienza spesso s’inceppa su concetti errati (e ci son voluti duemila anni perché la fisica potesse concepire la forza come una massa moltiplicata per un’accelerazione, per quanto inadeguato possa essere ancora questo concetto) ma la buona scienza, pur distinguendosi dalla metafisica – se vuoi anche identificandosi con quella, ma non “sub eodem” –, deve procedere ad inquadrare le evidenze della realtà collegandole in maniera incontraddittoria - e tuttavia per ora astratta - attraverso nuclei teorici che possono concrescere gli uni dentro gli altri fino al livello onnicomprensivo del quadro teoretico più ampio, che è quello metafisico. Ovvio che il quadro di riferimento universale offre “condizioni al contorno” estremamente importanti – i presupposti di base – per i sottoquadri scientifici, ma non è necessario che esso sia sempre esplicito, perché la multiforme varietà del creato richiede di suo tale amore e dedizione e acume così specifici, che, se elargiti con retta intenzione, porteranno non solo alla comprensione delle stessa varietà, ma saranno di giovamento anche alla chiarificazione e alla purificazione del linguaggio e del comportamento che intende esprimere l’Uno, la struttura concreta dell’infinito.
    Intanto colgo l’occasione per un grande abbraccio con i migliori auguri di Buon Natale!
    Pietro

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  7. Pietro, anzitutto cerchiamo di usare lo stesso linguaggio, altrimenti non ci capiamo. Ad esempio la parola "scienza" (ne avevamo già parlato). Tu continui a chiamare "scienza" ciò che, sto cercando di spiegarti, è "tecnica". Orbene, il termine "scienza", al di fuori del significato che questa parola ha assunto e continua ad assumere all'interno del contesto malato della "storia", significa quello stesso che viene in luce pronunciando la parola "filosofia". E' proprio la filosofia che, nella sua malattia (cioè in quanto "modo" di essere il Tutto, di essere cioè la filosofia non-malata), è sin dall'inizio "tecnica" (= volontà di fare ciò che in verità non può essere "fatto" perché è già da sempre eterno). Dal mito delle culture orientali, in cui la cultura occidentale rimane per lo più un inconscio, si va verso il prevalere dell'Occidente, con l'avvento della cultura greca; all'interno di questo prevalere, a partire dall'Umanesimo-Rinascimento, viene chiamato "scienza" (da cui "scienza moderna") un atteggiamento che è pur sempre "filosofico", nel senso che questo atteggiamento è una decisione della filosofia occidentale: la filosofia occidentale sceglie di operare attraverso un rigore e una procedura diversi da quelli del passato, diciamo, greco-cristiano-ebraico (anche la religione è un modo di filosofare in senso occidentale, fermo restando che l'Occidente include in sé l'Oriente). Che poi questa scelta filosofica venga interpretata malamente, e cioè separando o comunque distinguendo la "scienza" dalla "filosofia", questo è appunto un errore (della stessa filosofia occidentale: infatti chi sta parlando ora è la filosofia autentica, che conosce la verità di tutto e quindi anche di sé stessa in quanto occidentale, tenendo fermo che "Occidente" è anch'esso verità infinita, come ogni essente). E' proprio la filosofia occidentale ad entrare sempre di più nel proprio inconscio "tecnico".

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  8. Ciò posto, l'importanza che nel mio discorso viene attribuita alla "tecnica" (che tu chiami "scienza") è ben di più rispetto al tuo modo di intenderla. La Tecnica (e quindi tutti gli esperimenti in laboratorio o qualsivoglia deduzione "realistica" come gli esempi che hai riportato), in senso ampio, è proprio il "modo" in cui la Filosofia autentica vede sé stessa; tuttavia sai che il "modo" di cui parlo è l'errore, ma l'errore è appunto la grande filosofia malata, che è malata ma è grande, proprio perché è "della" Filosofia.
    Entrando adesso nello specifico, diciamo allora che tutti i grandi e piccoli "motivi" (compresi quelli dei tuoi esempi) che riteniamo stiano alla base delle cose che ci accadono ogni giorno, ecco, questi motivi sono il frutto dell'incapacità attuale (che riguarda tutti e quindi anche me) di scorgere la relazione autentica che unisce ciò che chiamiamo "il mio corpo e la mia psiche" con ciò che chiamiamo "questa penna, quel gatto, quegli alberi, il cielo, ecc.". Nel libro "Del tragico Amore" spiego analiticamente tutto ciò (soprattutto nella "Parte Seconda" e "Parte Terza", che credo tu non abbia ancora studiato). Intendo dire che poiché a prevalere è ancora l'errore, e poiché, in questo prevalere (cioè nella "Prima Volta"), i segni (che gli altri essenti lasciano nella propria coscienza, e i modi in cui questa coscienza si distingue da quegli essenti e gli stessi segni che questa stessa coscienza lascia in essi) rimangono per lo più enigmatici e indecifrati. Ciò significa che ciò che adesso crediamo sia la costruzione o ricostruzione di un certo "fatto" (come l'esempio del tuo gatto) rimane ancora avvolta dal mistero intorno alla verità autentica di tale "fatto", una verità che è destinata a prevalere col superamento processuale della Prima Volta (un superamento che chiamo "il Ritorno"). Nel Ritorno, ci si renderà conto che tutto ciò che appare nel proprio apparire è questo apparire stesso, e che tutto ciò che appare in un altro apparire è l'Apparire che ogni apparire in verità è. Intendo dire cioè che ciò che adesso crediamo sia un "qualcos'altro" (o "qualcun'altro") rispetto a ciò che chiamiamo "il mio io e la mia corporeità", e questo stesso "io" sono in verità l'unico Io infinito che vede sé stesso in una molteplicità finita di modi. All'interno di uno di questi modi, ad esempio "nella vita di Pietro", ciò che Pietro crede sia una "foglia" è in verità un segno di un altro modo in cui l'Io infinito vede sé stesso: in altre parole, la "foglia" è uno dei modi in cui un'altra vita (passata o futura rispetto a Pietro: rimane un problema stabilire se sia passata o futura, fermo restando che è necessario che sia una delle due) dell'Infinito si presenta nella coscienza di Pietro. Eppure Pietro crede che quella sia una "foglia"... Io stesso son convinto che questa sia una "tastiera"; e invece tutto ciò che io vedo e che si distingue dal "mio corpo" è una parte della totalità che io in verità sono, una totalità che è a sua volta una parte della Prima Volta, quest'ultima essendo a sua volta una parte della Totalità infinita che sempre io (come ogni cosa) in verità sono (l'altra parte essenziale essendo il Ritorno: il Tutto è la relazione tra la Prima Volta e il Ritorno). Rimane ancora un problema stabilire cosa sia in verità ciò che siamo convinti, illudendoci, sia una "foglia" (o qualsiasi altra cosa interpretata).
    Forse sono andato troppo avanti col discorso, ma era inevitabile farlo, perché è questo il punto centrale da cui poi si può capire cosa è questo o cosa è quello.

    Buon Natale anche a te Pietro

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  9. Aggiungo, infine, che tutto il discorso che tu, caro Pietro, hai condotto intorno al senso di quella che chiami "scienza" (inclusi i due esempi), sarebbe stato un discorso incontraddittorio soltanto nel caso in cui non avessi detto che la scienza

    "deve procedere ad inquadrare le evidenze della realtà collegandole in maniera incontraddittoria - e tuttavia per ora astratta - attraverso nuclei teorici che possono concrescere gli uni dentro gli altri fino al livello onnicomprensivo del quadro teoretico più ampio, che è quello metafisico. Ovvio che il quadro di riferimento universale offre “condizioni al contorno” estremamente importanti – i presupposti di base – per i sottoquadri scientifici, ma non è necessario che esso sia sempre esplicito, perché la multiforme varietà del creato richiede di suo tale amore e dedizione e acume così specifici, che, se elargiti con retta intenzione, porteranno non solo alla comprensione delle stessa varietà, ma saranno di giovamento anche alla chiarificazione e alla purificazione del linguaggio e del comportamento che intende esprimere l’Uno, la struttura concreta dell’infinito".

    Ecco Pietro, se la scienza è la tecnica, e se la tecnica è la filosofia malata, la malattia rimane malattia, e anzi procede verso la direzione opposta di quella a cui ti riferisci. La malattia è destinata ad abbassare sempre di più la propria intensità luminosa ("luminosa" vuol dire che l'ampiezza coscienziale sempre crescente è l'ampiezza della verità, rispetto alla ristrettezza sempre meno intensa dell'errore). Ciò che dal punto di vista dell'errore è un "progresso", è in verità un "progresso" in un senso diverso da quello inteso dall'errore, ed è un "regresso" nel senso appunto che l'errore si abbassa di intensità, cioè va verso il suo non-prevalere più, guardando dal basso il prevalere della verità, cioè della non-interpretazione.

    Ciao ancora Pietro..

    Marco Pellegrino

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  10. Eccoci dunque (anche) in quest''ubiquo' qui Marco; beninteso, unita-mente a quest'altro 'mio' là dal quale siamo 'partiti' 'https://www.facebook.com/groups/105201859570682/permalink/929221367168723/... Lette ieri sera 'al solito glaro(t)tico volo' (cfr. https://www.facebook.com/paolo.dova/about?section=bio&pnref=about) le considerazioni del 'qui (allora) presente' Pietro, persona che non conosco, ma alla quale esprimo apprezzamento per il mix di pregnanza e sensibilità argomentativa, provo a cimentarmi con la 'question', cercando di richiamare a braccio una serie di per me ormai datate riflessioni - fatto tuttavia salvo il mio 'disporne oggidì in modo ormai alquanto frammentario e, al momento, non eventualmente supportabile con i relativi rimandi ai testi che potrei richiamare - . In 'materia' - come sono solito s-definire indisciplinatamente il mio sinsofico&kratologico approccio - propongo di 'fissare' due questioni che mi paiono essenziali: l'una relativa allo 'specifico contenuto' di un certo "passaggio", più o meno "congelato" che (del) D-ir 'si voglia'; l'altra - che definirei in modo volutamente 'tendenzioso' più 'generalmente radicale'- inerente il fatto che a mio avviso, ed in Ragione di un 'certo' presunto Logos, le questioni filosofiche sollevate dal 'connubio' fra le teorie della relatività einsteiniane e la meccanica quantistica, non solo non sono 'da meno', ma, in sostanza, si collocano, 'laddove' per l'appunto 'radicalmente intese', sullo stesso 'Ultimo, nobile piano' di un certo preteso 'ultralogico' sapere. Quanto al "passaggio" di cui vado dicendo, come andavo già 'narrandone' in "CortocircuitOne. Storia di un'astrazione fatale" - presentato nel 2006 alla Fiera del Libro di Torino -, Giuliano Toraldo di Francia, nel suo "Le cose ed i loro nomi", richiamava l''accapigliarsi' di alcuni fisici - più o meno 'durrenmatti' (cfr. http://www.oocities.org/it/claupalm/Testi/Images/i_fisici.jpg) - circa la questione del cosiddetto "mito del passaggio" e/o "mito del passaggio congelato", questione che permetteva di sollevare, a dei fisici, e non alla Maga Magò di turno, la possibilità dell'essere già morti o, che 'D-ir si voglia', dell'essere contemporaneamente vivi e morti. All'attento 'riguardo', avevo già avuto occasione di corrispondere con Ignazio Licata mercé il kratologico commento fruibile qui https://www.facebook.com/groups/105201859570682/permalink/105261149564753/?comment_id=105580589532809&comment_tracking=%7B%22tn%22%3A%22R%22%7D Premesso quanto sopra accennato e/o richiamato alla mente, circa il carattere più tecnicamente specifico di quella particolare 'estrema possibilità' (in quell'ostico 'estrema' - con o senza Ricoeur e la sua ermeneutica del sospetto - reputo che 'in me' abbia in-tanto 'a suo modo parlato' il lacaniano Ça), e lanciando qui la forse inaudita pro-vocazione che l'Essere sia anche - di malata Necessità? - 'tecnico', rilevo come, appunto in estrema Ragione di un certo pre(as)sunto D-scorrere, i 'fisici de-scritti fatti' (f-atti? https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=10153197618256384&id=184810381383) ci conducano - e perché no, anche con l''immortale' fisica tipleriana ed il 'non suo' antiseveriniano, mitico&gesuitico Punto Omega' (cfr. a quanto Severino dice di Tipler in questo testo http://i.ebayimg.com/00/s/MTYwMFgxMDE0/$T2eC16dHJHgE9n0yHEmgBQ+m4it0lg~~60_35.JPG) - al medesimo 'oltre-passamento' del tessersi dell'Essere. SEGUE

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  11. SEGUE da sopra

    In Tutto 'questo ciò', Severino ha senz'altro (Altro?) ragione nell'identificare la scienza alla guerra, ma perché, la Filosofia non 'fa' o 'sta' forse destinal-mente a 'fare' altrettanto...? E l'uomo, che per Severino è essenzialmente tecnica, non risulta storicamente essere in tal senso il 'braccio armato' - più che amato - dell'Essere? Ha dunque da darsi un/una qualche fine di questa Storia? E, se sì, quale ed in quale 'metastorico tempo'?

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  12. Paolo ma io ho infatti detto che la Filosofia (= Scienza) Tecnologica, anche al di là dell'esser uomo, è la volontà di potenza per eccellenza, ed è inclusa nell'autentica Filosofia (= Scienza) che non è Tecnologica, cioè non è "di potenza", è semplicemente volontà ossia coscienza: è coscienza che vuole e raggiunge in eterno tutto ciò che è necessità che appartenga all'essere cioè a sé stessa.
    Bisogna poi distinguere, all'interno della Filosofia Tecnologica, la volontà privata da quella pubblica di potenza: quella privata è volontà (esplicita o implicita) di non indicare la verità autentica, quella pubblica è volontà (implicita o esplicita) di indicare l'innegabile verità del Tutto.
    All'interno di quello che vien chiamato "regno umano", ci troviamo ora nel pieno della fase transitoria che si colloca tra il dominio della specifica volontà privata e il dominio della specifica volontà pubblica appartenenti a tale regno.
    Siamo in attesa che le ultime volontà private di potenza (l'ultima sarà l'Anarchia autentica, la più congruente delle ideologie rispetto alla volontà ideologica di abbandonare il modello padrone-servo) dicano la loro, prevalgano le une sulle altre, dopodiché la volontà pubblica di designare la struttura incontrovertibile del Tutto comincerà a prevalere.
    Stiamo andando verso un tempo in cui quello che diciamo adesso con questo tipo di linguaggio (che parla di eternità, Tutto, ecc.) verrà accompagnato da visioni pubbliche che ognuno sarà in grado di constatare probabilmente attraverso macchinari più avanzati mediante i quali si potrà osservare, anche se in modo ancora molto limitato, "la carne e le ossa" di un certo passato e di un certo futuro.
    Ma il modo più esaustivo e concreto di osservazione di ogni passato e di ogni futuro consiste in ciò che chiamo "il Ritorno", il quale non può appartenere al "regno umano" e nemmeno negli altri eventuali mondi inclusi in ciò che chiamo "la Prima Volta". Dovranno passare chissà quanti miliardi di milioni di millenni affinché la coscienza dell'Universo incominci a prevalere come il primo passo del Ritorno. (Relativamente a quei macchinari, invece, si tratterà di aspettare probabilmente pochi secoli).

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  13. Alcuni rilievi Marco, ad un tuo 'apparente sgusciar via' da un certo 'fisico angolo' dove vorrei dialetticamente e/o metodicamente provare a 'costringerti' :-); fatto già fin d'ora salvo che l'excursus da me sviluppato in partenza intendeva semmai amplificare al Massimo la portata deL (D'Un) filosofico più essenziale D-ire, raccogliendone e concentrandone 'ulterior' mente l'Estremo Inaudito Senso. Come, appunto, avevo già più estesamente fatto nel sopra citato "CortocircuitOne. Storia di un'astrazione fatale".

    1) Doppia o almeno duplice appare col tuo D-ire, Marco, l'intrinseca f/F-orma della volontà: in una versione essa si presenta a mo' di 'presunta' tecnologica potenza (forse la severiniana "estrema follia"), nell'altra è (presumo già da sempre) un 'più semplice' volere nella sua, diciamo così, più in-terna o intima 'veste' di ('pura',completa ed autentica) coscienza, della quale tu dici l'essere (presumo anche qui già da e 'per' - finale - sempre) "coscienza che vuole e raggiunge in eterno tutto ciò che è necessità che appartenga all'essere cioè a sé stessa."

    2) Altrettanto duplice (ancorché fra verticale Sincronia ed orizzontali diacronie) si ridefinisce poi nel tuo D-ire la stessa Filosofia. Essa si declina in una 'sua' meno 'nobile' f-orma che definisci tecnologica (probabilmente quella stessa che io ho associato - più 'strategicamente' - al termine Kratologia) e in quel''Altra' più 'elevata' e 'maiuscola' F-orma che rinvia, contemporanea-mente, ad un oltreumano Regno del Ritorno 'quando', 'superata' la volontà pubblica di designare la struttura incontrovertibile del Tutto ormai definitivamente prevalsa come tale, apparirà quello che chiami "il primo passo del Ritorno".

    3) Secundum non datur, a mio 'immodesto avviso', le due 'effe' di cui sopra vanno tuttavia sempre contemporaneamente quanto più che mai sincronicamente - sinsoficamente dunque secondo il (mio) più intimo D-ire 'del' Logos - 'contemplate'; questione che avevo cercato di argomentare durante il nostro primo virtuale incontro, nel quale mi 'dichiaravo' alquanto 'orientato' verso la cosidetta 'mistica visione'.

    Nell'articolo "Entanglement. Fra Chronos e Aion", fruibile a questo link http://www.agoravox.it/ecrire/?exec=articles&id_article=4525 avevo già provato ad incrociare tempo ed eternità in una prospettiva che, appunto cercando di far dovuto cenno alle più estreme acquisizioni della fisica moderna, 'voleva' essere un modo per affermare che la cosiddetta dimensione che diciamo intuitiva (in-tueor ?) è già da sempre - ed ormai anche per la, forse, un po' meno 'autentica' Scienza - quel Presente che si va anche qui de-scrivendo. Ma, ribadisco, di Tutto 'sto 'ciò', andrebbe con mooolta maggiore attenzione 'fisicamente valutato' il contemporaneo D-ire; un dire che non è affatto peregrino pensare già ora (come del resto anche storicamente sempre, ancorché in modi diversi) 'praticabile'. Semplicemente, occorre fin da subito - 'immediatamente' dunque - mettere in Gioco tutte le bio-(meta)fisiche prospettive implicate dagli scientifici discorsi e non limitarsi a darne direi troppo 'sfuggente' considerazione. Il Tutto è già fin d'ora Un Tutto, "tanto anzi parecchio", anche 'fisicamente proponibile'; e questo mi pare dovrebbe essere il 'naturale' sviluppo della questione sollevata in questo post. Tutto 'sta' per l'appunto a meglio 'vedere' se e come riusciamo ad 'ascoltarlo'...

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  14. Certo Paolo, ma infatti l'intero libro "Le Materie Prime della coscienza" e anche "Matematica dello Spirito" si riferiscono principalmente al rapporto tra il mio linguaggio specifico e gli altri linguaggi (della psicologia, della biologia, dell'antropologia, ecc.). Parlo dell'autentica interpretazione pubblica di ciò che vien chiamato "regno umano", "regno animale", "regno vegetale", "regno minerale". Parlo dell'autentica matematica, che nega l'intero senso che la matematica ufficiale conferisce da sempre ai numeri, anche alle operazioni aritmetiche che solitamente si ritengono corrette (ad es., nell'autentica matematica, 2 X 2 = 6, ne parlo ampiamente in quei due libri). Parlo di quanto grande possa essere l'Universo intero rispetto alle dimensioni inferiori che vi appaiono, ad esempio in relazione alla progettata visione della fisica che parla di 100.000 miliardi di galassie. E molto altro ancora... Ma è chiaro che qui non possiamo entrare nel linguaggio e nell'analisi precisi, anche perché tu stesso, avendo i miei scritti, puoi tranquillamente approfondire da solo, in modo tale che, conoscendo il mio intero discorso, tu possa magari criticarlo secondo tutte le angolazioni che i miei scritti propongono.
    Detto ciò, se vogliamo parlare, qui, di qualche punto che ho elencato o di qualche altro che, scorrendo l'Indice dei miei libri, puoi facilmente rintracciare, io sono a disposizione, ma mi auguro anche che tu, non potendo io qui riscrivere l'intera analisi contenuta nei miei scritti, tenga conto di quel che scrivo qui continuando ad approfondire con la dovuta attenzione e pazienza tale analisi. :)

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  15. Ecco, Marco, il motivo per cui - al di là dei tuoi gentili propedeutici suggerimenti - avevo cominciato quel mio sinsofico "assoluto movimento del pensiero" partendo dal(la) 'fine' del 'matematico spirito'... L''Inizio' avendolo, credo, già sufficientemente colto nella sua più pro-f-onda psico-fisica essenza :-)

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