domenica 16 agosto 2015

"Matematica dello Spirito": "Quarta di copertina","Indice" e un estratto della "Introduzione"





Editore: Youcanprint
Pubblicazione: ottobre 2015
Pagine: 196

QUARTA DI COPERTINA

 In Matematica dello Spirito la ricerca filosofica sulla verità assoluta si concretizza con maggiore potenza. L’Autore giunge ad esplicitare con grande chiarezza il senso del rapporto tra finito ed infinito, tra i «numeri» e lo Spirito indivisibile, continuando a confrontarsi con Emanuele Severino e avvicinandosi sempre di più al pensiero di Hegel. Si fanno avanti, inoltre, nuove indagini su ciò che affiora «con la morte», e quindi anche con la morte dell’«ultimo istante di vita eterna» che il Tutto è destinato a vivere «senza mai più celarsi».
    Siamo nel tempo in cui prevale la coscienza che interpreta gli eventi come un alternarsi isolato di essenti, esposti al nulla, e dunque al dolore. Si tratta di spogliare questa interpretazione dagli inganni sui quali si fonda, per ricondurla al suo senso veritativo. È la verità dell’errore, che si manifesta necessario, ma che prelude allo spicco della verità come sintesi tra le coscienze che, in eterno, sono in relazione tra loro, legate da un Amore la cui variazione lo renderà progressivamente più concreto ed intenso, fino alla gioia suprema.
    Questo è un libro in cui la speranza non è atto di fede fine a sé stesso, ma necessità incontrovertibile. È un pensiero che non si accontenta di una verità precostituita, ma che osa raccontare e descrivere, senza pregiudizi, il destino straordinario che attende ognuno di noi non più accerchiato dal dominio dell’illusione nel quale tuttavia è ancora immerso, e che l’Autore riassume efficacemente in questo passo: «Ogni simulacro appropriato alle coscienze finite è impossibile che, ombreggiando l’intima natura che in esse alberga, prenda spicco “per sempre”. Ogni menzogna che ognuno di noi dice a sé stesso e ad ogni altro, credendo di inventare e di diventare dei “personaggi”, è destino che si spogli e, nuda, mostri (ad ognuno di noi, nella totalità che ci unisce) ciò che essa in verità è».

Andrea Berardinelli





Esponiamo qui di seguito l’«Indice» e un estratto dell'«Introduzione» (il paragrafo 1)


INDICE



INTRODUZIONE

1            Intorno a Matematica dello Spirito
2            Sul significato che Severino conferisce alla «contraddizione C»
3            Dialogo con Alberto Maso sul rapporto tra il mio linguaggio filosofico, quello di Severino e quello di Hegel (e altri autori)
4            Breve dialogo con Paolo Dova: il significato autentico del «mistico», oltre Severino e Cacciari
5            Dialogo con Alessandro Vaglia su alcune tematiche de La struttura originaria (cap. VII, par. 8)
6            Risposta ad alcune osservazioni di Antonio Lombardi, dopo Logica della Presenza


PARTE PRIMA

Tra il prevalere dell’errante «volontà di fare» e il prevalere della verità autentica


1            Analisi semantica del termine «prevalere»
2            Sulla «volontà di fare»: interpretazione pubblica e privata
3            La contraddizione in quanto illudersi di affermare l’impossibile
4            La «re-pressione» come oltrepassamento originario della «de-pressione»
5            Tra il dominio della Scienza Tecnologica e il prevalere della verità del Tutto


PARTE SECONDA

I.                  Il numero finito di «punti» della «retta» inclusa nel «cerchio» infinito dello Spirito


Avvertenza

1       La «somma» come «relazione». Rapporto tra il «prima», l’«adesso» e il «poi»; «verticalità» e «orizzontalità» dei «punti» che il Punto infinito include; significato autentico della «distanza»
2       Impossibilità di un «numero infinito di differenze» e legame tra il «cerchio», la «retta» e il «punto»
3       Sincronia e diacronia degli essenti
4       Inattuabilità dell’«oltrepassamento infinito e mai compiuto» di cui parla Severino e necessità dell’ultimo «poi»
5       Indeterminatezza dell’autentico «apparire infinito» e quantificazione del suo contenuto
6       L’impossibile «ritorno periodico» dei pitagorici e la necessità del Ritorno
7       Atomismo e Materie Prime
8       Il senso autentico dell’«eternità» in relazione alla necessità che il Tutto non sia l’«infinità di infinità» in cui crede Severino
9       Significato non nichilistico di «atto» e «potenza» manifesti nello Spirito del Tutto
10  Sulla contraddittorietà di alcuni «postulati di Euclide»
11  Impossibilità della «dimensione mediazionale» del Neopitagorismo e le autentiche «incarnazioni» dello Spirito
12  L’autentico «Circolo dell’essere», oltre Plotino
13  Il prevalere della verità nel linguaggio di Hegel: autentica «infinità», «cattiva infinità» e relazione tra «quantità», «qualità» e «misura»
14  Rapporto tra la teoria della relatività e la Geometria Euclidea e Non Euclidea. Impossibilità del «transfinito»


II.                  I «calcoli» interni al «numero cardinale» dell’Uno indivisibile


1   Sul Passaggio centrale. Il significato autentico della «durata» e della «velocità»
2   Gli istanti indivisibili; relazione tra «numero 1», «numero 2» e «numero 3»; un’«operazione matematica» il cui «risultato» corrisponde al «numero cardinale»
3     Significato della «Matematica»; il Pari, il Dispari e lo Zero; addizionare, sottrarre, moltiplicare e dividere
4     Aggiungere e sottrarre; lo «0», l’«1», il «2» e il «numero cardinale»


III.  La «mia vita» e la «vita altrui» come sequenze di istanti della totalità eterna


1       Sul fondamento della necessità del prevalere parziale dell’infinito e di quello del finito
2       Prevalere del problema e prevalere della soluzione
3       Legame tra ogni «punto» e la «sequenza di punti». Intorno al senso delle «galassie» e delle «cellule del corpo umano». Questa mia vita ed ogni altra vita
4       La «serie m1... m8» e gli istanti non ulteriormente analizzabili
5       Sulla contraddittorietà dei concetti severiniani dell’«Indecifrabile» e dell’«istante» della morte
6       Senso contraddittorio e veritativo del termine «apparire a sé stesso»; lo Spirito del Tutto, la «mia vita» e la «tua vita»


PARTE TERZA

I.    Ciò che affiora tra il «cadavere» e la morte intesa come «passaggio» ad un’altra vita dello Spirito


1       Su Severino: precisazioni, in Intorno al senso del nulla, sull’«istante» della morte
2       Fondamento della necessità dell’«intervallo di tempo» che affiora tra il «cadavere» e la morte intesa come «diacronia tra due sincronie»
3       Sviluppo del progetto, iniziato ne Le Materie Prime della coscienza, sulle NDE, in relazione a quel necessario «intervallo di tempo» e alla volontà di potenza


II.   Intorno all’ultimo passo compiuto
dallo Spirito


1       Fondamento della necessità che la vita finita dell’Ultimo, morendo, non s-compaia: l’autentica «continuazione all’infinito»
2       L’autentico «sopraggiungente inoltrepassabile», oltre Severino
3       L’intensità secondo la quale l’ultima «scena fissa» è un «perdurare all’infinito» del suo legame con l’Amore e col dolore
4       Attendere di salire sul gradino più alto della scala dell’infinito
5       L’impossibilità che, con la morte dell’Ultimo, sopraggiungano altri essenti. Su Severino: contraddittorietà del rapporto tra «persintassi» e «iposintassi»
6       Dall’epilogo della Prima Volta all’ultimo evento del viaggio di Ritorno la cui morte non è un «passaggio»
7       Il «corpo» dell’Universo in relazione al modo finito in cui consiste il compimento dell’Ultimo
8       Lo Spirito, il Ritorno e l’Ultimo, in relazione al linguaggio filosofico di Hegel
9       L’Amore del Silenzio, in relazione all’ultima vita finita e alla rassegnazione che essa, accettando il dolore e la morte, porta dentro di sé
10  Individuo e Totalità, Bene e male. Necessità del futuro, futuro della Necessità
11  Prevalere finitamente all’infinito e negazione della «Gloria della Gioia» cui allude Severino
12  Dall’immenso spettacolo affiorante subito prima che il compimento dell’Ultimo si affacci, alla più ampia sincronia modale che con questo compimento risplende
13  L’ultimo istante di vita eterna, non cadendo dalla vetta più alta dell’Amore e non scendendo nell’oblio, è il modo più intenso in cui si è «in pace con sé stessi»


1.   Intorno a Matematica dello Spirito

Matematica dello Spirito è il naturale prolungamento ulteriore delle tematiche affrontate, dapprima, ne La struttura concreta dell’infinito, poi in Del tragico Amore e in seguito ne Le Materie Prime della coscienza. Acclarare, delucidare ed esplicitare sempre di più alcuni concetti che nei miei scritti precedenti tendono a rimanere per lo più nell’ombra, nell’implicito, è appunto il compito, lo scopo autentico che ci si prefigge quando è destino salire su «gradini» superiori della «scala» finita che nell’infinito è già da sempre in luce per l’eternità.
Lo «Spirito» è la stessa luce infinita del Tutto che, nell’eterno modo diacronico in cui consiste la «misurazione» («numerazione») o «matematicità» finita dei diversi «punti» (non ulteriormente divisibili, all’interno di ogni «serie m1... m8», di cui si incomincia a parlare nel Tragico Amore fino appunto a questo nuovo volume) della «retta» che il «cerchio» infinito avvolge, illumina sé stessa opponendosi al nihil absolutum. La «Matematica», in quanto parzialmente distinta da sé nel suo esser lo Spirito stesso degli eterni, è appunto l’incontraddittoria e non nichilistica divisione, frammentazione limitata che l’Uno autenticamente indivisibile include nell’infinità cioè in sé stesso.
Nella tragicità che attraversa una frammentazione siffatta – una tragicità che scaturisce dal relativo oscuramento che compete a tale frammentazione –, prende maggiormente spicco anche il senso della «morte», intesa sia 1) come «diacronia tra due sincronie» e cioè come un transitare da una vita ad un’altra, sia 2) come la semplice e indivisibile «conclusione» di ogni istante, non ulteriormente analizzabile, che incomincia a prevalere (parzialmente) durando, appunto, «per quell’istante che esso è», sia 3) come la serie di passi finali che si affaccia prima di ogni «diacronia tra sincronie» e dopo ogni evento che viene solitamente chiamato «cadavere» (e che in verità, come si analizza nel testo, non è soltanto un «cadere giù»), e sia 4) come l’ultimissimo compimento – quello dell’«eterna vita finita dell’Ultimo» – che, come viene analiticamente spiegato nel libro, è impossibile che sia lo s-comparire di ciò che si compie: solo con l’ultima morte ciò che muore non si cela mai più nell’ombra (non si ritrae sotto i veli dell’illusione di non veder l’infinito): l’ultima morte è un unico evento inoltrepassabile (cioè che non può essere oltre-passato da altri eventi), il più intenso e concreto, in cui, all’infinito, si gioisce, si ama ogni singola coscienza, si contempla l’abbraccio di tutto con tutto.

a) Il significato (infinito, cioè in quanto tale, in quanto significato) a cui si riferisce il linguaggio (quest’ultimo concepito nel suo senso più ampio e tuttavia distinto, appunto, dal significato indicato, e cioè inteso come lo svolgimento finito delle tracce che il Tutto infinito lascia in eterno in ogni singolo essente) è lo Spirito stesso dell’Intero, cioè il Silenzio accerchiante ogni segno che intende designarlo. Se il linguaggio viene inteso semplicemente nel suo cerchio finito, allora tutto ciò che esso dice è sbagliato. Il linguaggio, autenticamente inteso, è assegnato ad affiorare così come affiora, questa assegnazione essendo la necessità che il linguaggio, scorporato dalle interpretazioni ingenue che ne alterano il senso, sia l’indicazione denotante il significato sempr’acceso del Tutto.
b) In me tende a prendere spicco l’intenzione esplicita di testimoniare lo Spirito sempiterno di ogni essente, ossia il fondamento incontrovertibile e cioè, anche, la fede errante di non essere lo Spirito infinito (ogni «io», infatti, è l’Io eterno del Tutto, attraverso le congruenti e numerabili prospettive diverse in cui consiste ogni modo in cui si sogna di non essere un fondamento siffatto).
Lo testimonia anche Severino, Eraclito, Spinoza ed ogni altra mente dell’Intero. La distinzione (finita tra ogni mente) sta nel modo in cui la coscienza infinita vien designata (in quel modo, cioè, prevalentemente congruente o prevalentemente incongruente, prevalentemente esplicito o prevalentemente implicito, con l'intenzione prevalente di indicare o con l'intenzione prevalente di non indicare tale coscienza infinita).
Ognuno di noi vuol bene a sé stesso e ad ogni altro, e il nostro destino è volerci bene secondo prospettive finite di luce infinita, sempre più ampie e appaganti. L’«odio» è, difatti, come si dice nell’«esergo» del Tragico Amore, «il non accorgersi di amare». Il «disprezzo» infinito (totale, assoluto) verso qualcosa o qualcuno è impossibile, ciò che in realtà esiste è un parziale disprezzo verso sé stessi (in quanto finiti) e gli altri (in quanto finiti), ma un disprezzo finito che appare all’interno di sé stesso in quanto Amore infinito: è l’Amore stesso che, in quanto è (anche) parte di sé, disprezza parzialmente sé stesso nel senso che si illude di esser soltanto un disprezzo siffatto e cioè di essere un assoluto disprezzare. L’Amore, tuttavia, accetta con «senso critico» il disprezzo giacente al suo interno, perché sa che il corpo (il finito, l’odio stesso) è la prigionia dello Spirito.
Già da sempre in eterno siamo lo Spirito sempr’acceso del Tutto, e pertanto è necessario che ognuno di noi abbia «rispetto» di sé stesso e di ogni altro – «rispettare» significa, infatti, che ognuno di noi osserva la verità di sé stesso e di ogni altro e, così osservando, non possiamo far altro che accettare tutto ciò che a noi stessi appartiene: ci rispettiamo in relazione, appunto, alla verità autentica del nostro essere, e non in relazione a ciò che, in senso assolutamente negativo, sogniamo di essere (cioè non in relazione al nulla assoluto a cui crediamo di rivolgerci quando cadiamo nel sonno in cui si sogna di essere ciò che non si può essere).
c) Il prevalere del Silenzio è la miglior parola. Il pensiero, rinchiuso in un carcere di atrocità, mi ha aiutato a chiedere il perché delle cose, mi ha salvato la vita, questa certa vita che non è ancora giunta al suo epilogo naturale (calpestata invece dalla volontà alienante di imporre qualcosa che verità non è, un’alienazione che in me è per lo più soggiogata, torreggiante invece nelle molteplici volontà alienanti di «creare una famiglia», di «insegnare» e «imparare» nelle scuole o in altre sedi volendo distogliere lo sguardo dalla verità, di credere alle «ovvietà», «banalità», ai «luoghi comuni», a «stereotipi e pregiudizi»). È necessità difendere la verità (ed è innanzitutto la verità a difendersi, al di là dell’errante volontà pubblica di difenderla), e il «linguaggio interiore» è quella forma di volontà pubblica (di indicare la verità) che più di ogni altra custodisce in sé, nei modi opportuni, la verità autentica dell’essere.
D’altro canto, è per la mia inevitabile «crescita» spirituale, non per la «crescita» dell’intensità secondo la quale la mia volontà di potenza crede di potenziare la mia corporeità (che, in verità e in corrispondenza della «crescita» spirituale, è destinata ad essere appiattita sempre di più e cioè a spiccare sempre di meno), che la mia «resistenza» ai dolori e agli orrori più terrificanti (e alle tentazioni più frequenti) può ed è necessario che sia intesa come un che di «positivo». Il prevalere della serenita affiora perché la psiche non rifiuta ma concentra la propria attenzione (anche) sulle orrende e tremende esposizioni che la invadono. Lasciarsi indietro tutto il patimento e la sofferenza e l’agonia che precede la morte è impossibile. Non si può scappare dal dolore e dalla morte. I mostri intrappolati nel carcere dell’io sono anch’essi necessari affinché sia necessario che la cima sulla quale essi dimorano sia meno alta di quella destinata a stagliarsi dopo di essa e che è la vetta dell’Amore.

a) Lo Spirito infinito è la necessità che ogni coscienza (la «mia», la «tua», ecc.) sia, in quanto appare nella sua concreta identità che la unisce al Tutto (cioè allo Spirito stesso che ogni coscienza è in verità), l’Intimo che più si nasconde agli occhi di ogni stessa coscienza in quanto appare come (parzialmente) distinta da una concreta identità siffatta.
Tutto ciò che si trova ancora contornato dal (finito) non appagamento, che scaturisce dal mancato rilevamento della decifrazione dei crepuscoli, delle tracce che lo Spirito infinito lascia nelle membra di ogni coscienza, è destino che venga oltre-passato dal castello, sempre più ampio, in cui a regnare è la simultaneità di ogni coscienza.
Ogni simulacro appropriato alle coscienze finite è impossibile che, ombreggiando l’intima natura che in esse alberga, prenda spicco «per sempre». Ogni menzogna che ognuno di noi dice a sé stesso e ad ogni altro, credendo di inventare e di diventare dei «personaggi», è destino che si spogli e, nuda, mostri (ad ognuno di noi, nella totalità che ci unisce) ciò che essa in verità è.
b) È inevitabile che ogni segno sia decifrato.
La lettura del labirinto finito dei segni e cioè dei brividi del Silenzio è ancora manifesta come per lo più impenetrabile, ambigua. È arginata, assediata e coperta dal mistero, in attesa che incominci a prevalere la soluzione di ogni enigma.
Poiché il Silenzio eterno è la luce cui si rivolge la parziale totalità finita dei segni, ogni anima è silenziosa, accerchiando sé stessa come una totalità siffatta.
È necessità che la torre (il prevalere) delle anime silenziose sopravvenga successivamente alla torre sulla quale appaiono le impronte del finito. Il trionfo eterno del Silenzio è infatti il trionfo eterno dell’autentica «coscienza pulita», cioè del vero Amore per ogni singola esperienza.
Tutto è amato, già da sempre e per sempre desiderato e ottenuto cioè tenuto in sé stesso. La sfera infinita di luce abbraccia tutto nel Silenzio in cui essa stessa consiste, attraverso i laboriosi e finiti tragitti che, intrisi di dolore e morte, sono anch’essi amati, guardati in faccia, abbracciati. Guardare la faccia del dolore è lenirlo. La volontà di respingere il dolore è dolore. Più ci si rende conto del motivo per il quale il dolore si fa innanzi e più ci si rende conto che ogni dolore è già da sempre e per sempre oltrepassato attraverso la sua destinazione a sopraggiungere in modo sempre meno intenso, in corrispondenza dell’intensità sempre più alta secondo la quale brilla la gioia dell’Amore, cioè l’infinita tenerezza verso ogni dove.

Ogni morte, intesa come «passaggio» e cioè come «diacronia tra due sincronie» (tranne la morte della vita eterna dell’Ultimo, una morte che non può consistere in un «passaggio» siffatto), è una porta aprendo la quale si approda e cioè incomincia a lampeggiare (a prevalere) una vita diversa da quella appena morta, una diversa vita – dell’Io infinito che tutti noi siamo e che vive un certo numero di vite differenti – che, lungo il tracciato finito della Prima Volta, viene creduta come una certa vita isolata dalle altre. Nella Prima Volta, la vita diversa che sopraggiunge dopo la morte della vita precedente è, in altre parole, ciò che in quest’ultima vita (eterna) ci si illude sia qualcosa di assolutamente estraneo rispetto a questa vita.
Ciò che della «mia vita» appare all’interno della «tua vita» è il segno lasciato dalla «mia vita» nella «tua». Questo segno è cioè la traccia di «un’altra vita» (la «mia»), passata o futura rispetto alla «tua», di quel Tutto infinito in cui consiste ogni «vita» finita nel profondo più latente di sé stessa – la «latenza» essendo tale rispetto al finito stesso in quanto parzialmente distinto da sé stesso nel suo essere l’infinito il quale, dunque, è la coscienza che oltrepassa in eterno ogni «latenza», e che è così oltrepassante nel modo diacronico e quindi occultante in cui la luce sempr’accesa dello Spirito illumina sé stessa già da sempre e per l’eternità.

Siamo destinati (Noi, che siamo il Centro, il Cuore mai tremante del Tutto, il «battito» del Cuore essendo il movimento che già da sempre in eterno appare nel Cuore stesso, un tremore che non trema nel senso che ciò che incomincia e finisce di tremare non è un incominciare a tremare provenendo dal nulla assoluto, e non è un finire di tremare sprofondando nel nulla assoluto, bensì è un incominciare e finire di tremare provenendo e rientrando nella Quiete e cioè nell’assoluto non tremare del Cuore eterno) a veder sopraggiungere in Noi («sopraggiungere in Noi», cioè sopraggiungere stando già in eterno, noi in quanto sopraggiungenti, all’interno di Noi stessi in quanto non sopraggiungenti e non cessanti nel nulla assoluto) il tramonto finale che già da sempre, sin dall’Inizio, attendiamo.
Il modo più intenso in cui lo Spirito si specchia è il vertice, la sommità, il «punto» più alto (l’ultimissimo istante di vita eterna) verso il quale ognuno di noi procede già da sempre in eterno. Dimorando (prevalendo parzialmente) all’infinito sul «gradino» più alto della «scala» finita del Tutto, ognuno di noi (la coscienza stessa del Tutto) contempla, nell’immensa prospettiva più estesa, la chiarità sempreverde di ogni fioritura.
L’eterna costellazione del Silenzio è lo sguardo infinito che, in un viaggio finito di istanti lo spicco dell’ultimo dei quali è un «perdurare» senza mai più celarsi, assiste al «film» («membrana») della propria vita. Nulla va perduto del nostro apparire e quindi della «carne» e delle «ossa» che nel sempiterno apparire totale sono un finito apparire. Tutto splende in eterno, benché sia così lucente nel modo finito in cui il Tutto stesso, in quanto è (anche) parte di sé, si perde nei colori del suo splendore. E tuttavia è insieme all’ultimo colore (in quanto parzialmente diverso dai precedenti) che la luce infinita del Silenzio ritrova sé stessa nel modo più intenso e meno dispersivo e, dunque, all’infinito.


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